Ipotizziamo che in seguito ad un controllo della vostra associazione si venga colpiti da sanzioni, ebbene chi paga?
Ogni buon dirigente di un’associazione dovrebbe saper rispondere a questa fondamentale domanda, eppure spesso non sa farlo.
In questi ultimi mesi numerosi dirigenti ci hanno contattato per chiederci se l’Agenzia delle Entrate può avanzare richiesta di pagamento solo al presidente oppure se può farlo anche nei confronti di un socio dell’associazione non riconosciuta o, persino, avanzarla verso una persona esterna.
La risposta è certamente si.
Nelle associazioni non riconosciute il presidente, un componente del consiglio direttivo, il socio e finanche una persona esterna possono essere chiamati al pagamento in seguito ad accertamento fiscale.
Il fondamento di questa responsabilità è rintracciabile nell’art. 38 del codice civile.
La disposizione menzionata afferma che “per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l’associazione i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune. Delle obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione”.
Cerchiamo di capire perché potrebbe non rispondere il presidente e al suo posto un socio o in alcuni casi una persona esterna all’associazione.
La risposta richiede un’attenta analisi della effettiva gestione dell’associazione, la quale potrebbe anche essere affidata di fatto ad una persona che non ha alcuna carica all’interno dell’ente.
In questi casi sarà quest’ultima a dover rispondere del debito tributario secondo i principi richiamati dal sopra citato art. 38 c.c.
La responsabilità personale e solidale sancita dall’art. 38 cod. civ. non è attribuita al soggetto in virtù della mera titolarità della rappresentanza dell’associazione (presidente), bensì occorre che il rappresentante abbia realmente posto in essere un’attività negoziale finalizzata alla nascita di un’obbligazione in capo all’associazione.
Ciò posto, va da sé che la responsabilità di colui che agisce in nome e per conto dell’associazione resta ferma in capo a chi ha realmente posto in essere l’attività negoziale fonte dell’obbligazione e, pertanto, può ricadere tanto su un membro del consiglio direttivo quanto su un mero associato e, finanche, su una persona estranea.
Tali considerazioni sono state di recente ribadite dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 2169/2018.
La pronuncia ha osservato che “la responsabilità personale e solidale delle persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione va oltre la carica astrattamente assunta dal soggetto nell’ambito della compagine sociale, ricollegandosi ad una concreta ingerenza dell’attività dell’ente”.