Una recente indagine dell’Agenzia delle Entrate ha appurato l’esistenza nel nostro Paese di oltre 500.000 associazioni/società no profit attive. Questo dato mostra che il cosiddetto “Terzo Settore” rappresenta una realtà di fortissimo impatto non solo sociale/aggregativo ma anche, se non soprattutto, economico.
Nel corso degli anni la normativa sul no profit è andata sempre più specializzandosi cercando di soddisfare esigenze spesso assai diverse.
In tale contesto si capisce come una riforma organica della disciplina di settore fosse da più parti non solo attesa, ma auspicata.
Un primo riflesso di questa esigenza di armonizzazione della disciplina normativa inerente il mondo “no profit” si è avuto con il D.Lgs. 117/2017 (Codice Terzo Settore) che ha tentato di rendere uniforme la disciplina economica, finanziaria ed amministrativa di tutte le associazioni no profit (onlus, di promozione sociale, culturali etc.) ad eccezione di quelle rientranti nella disciplina dello sport dilettanttistico (a.s.d.) e degli enti ecclesiastici (che sono state coinvolte solo in minima parte).
Tale tentativo, ad una prima valutazione, pare che non sia riuscito nel suo intento, ma anzi ha reso la materia se possibile, ancora più frastagliata e confusionaria.
Occorre tener conto che, ad oggi, pur essendo il D.Lgs. 117/2017 “legge dello Stato” i suoi riflessivi applicati di maggior impatto sono vincolati all’emanazione di oltre venti decreti attuativi e alla creazione “effettiva ed operativa” del RUNTS (Registro Unico Nazionale Terzo Settore) e, quindi, considerato il mutamento di potere politico al Governo, non è escluso che il maldestro, ma comunque avviato, processo di riforma, subisca delle notevoli modifiche o, addirittura, una brusca frenata.
Quest’ultima eventualità è sicuramente da molti auspicata in quanto si ritiene che tutto il testo della riforma, in realtà, non apporterà alcun beneficio alle associazioni, anzì, molte di esse saranno costrette a chiudere, sommerse da nuovi adempimenti burocratici e nuovi regimi di responsabilità degli amministratori che faranno desistere i più a proseguire l’attività.
Ciò premesso esaminiamo, adesso, un aspetto molto peculiare ovvero la destinazione d’uso degli immobili adibiti a sede di attività istituzionali delle A.S.D. a seguito dell’entrata in vigore del “Codice del Terzo Settore”.
Bisogna fare un rapido inciso per rendere chiara l’esposizione della tematica in esame.
Molte associazioni sportive effettuano le loro attività in locali privi di destinazione d’uso commerciale; alle volte queste attività sono svolte in abitazioni civili, altre volte in locali ad uso deposito e così via.
La possibilità di svolgere tali attività istituzionali in questi locali la si faceva discendere dal combinato disposto di due articoli della L. 383/2000 e precisamente l’art. 7 co. III e l’art. 32 co. IV.
La L. 383/2000 disciplinava le Associazioni di Promozione Sociale e consentiva ad esse una deroga sulla destinazione d’uso degli immobili, infatti l’art. 32 al IV comma prevedeva che: “La sede delle associazioni di promozione sociale ed i locali nei quali si svolgono le relative attività sono compatibili con tutte le destinazioni d’uso omogenee previste dal decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968, indipendentemente dalla destinazione urbanistica.”. A ciò va aggiunto che l’art. 7 al comma III prevedeva che: “L’iscrizione nel registro nazionale delle associazioni a carattere nazionale comporta il diritto di automatica iscrizione nel registro medesimo dei relativi livelli di organizzazione territoriale e dei circoli affiliati, mantenendo a tali soggetti i benefici connessi alla iscrizione nei registri di cui al comma 4.”.
Questa disciplina, sebbene indirizzata alle A.P.S., veniva fatta propria anche dalle A.S.D. che, tramite un rapporto di Affiliazione ad un A.P.S. Nazionale (come ad es. gli Enti di Promozione Sportiva), in virtù del combinato disposto degli articoli innanzi citati, riuscivano a svolgere le proprie attività anche in locali privi della destinazione urbanistica a fini commerciali.
Si sottolinea che tale beneficio, in più occasioni è stato oggetto di contrasti, soprattutto a seguito di obbiezioni sollevate dai singoli uffici SUAP dei vari Comuni Italiani.
La materia in esame, pertanto, è stata più volte oggetto di interventi sia in ambito Ministeriale che in ambito giuridico che hanno, nel tempo, portato all’affermarsi del seguente principio “l’intrinseca meritevolezza delle finalità perseguite dalle associazioni di promozione sociale ha indotto il legislatore a prevedere facilitazioni non soltanto sul piano fiscale, ma anche su quello amministrativo, con specifico riguardo agli aspetti urbanistici, proprio allo scopo di agevolare l’individuazione delle sedi e dei locali dove svolgere le attività istituzionali”.
In tale contesto, oramai consolidato, che effetto avrà la riforma introdotta dal D.Lgs. 117/2017 e la conseguente abrogazione della L. 383/2000?
Il nuovo Codice del Terzo Settore prevede all’art. 71 che “Le sedi degli enti del Terzo settore e i locali in cui si svolgono le relative attività istituzionali, purché non di tipo produttivo, sono compatibili con tutte le destinazioni d’uso omogenee previste dal decreto del Ministero dei lavori pubblici 2 aprile 1968 n. 1444 e simili, indipendentemente dalla destinazione urbanistica.”
Tale norma, ricalca, a grandi linee, ciò che disponeva l’art. 32 co. IV della L. 383/2000, tuttavia manca, ad oggi, un riferimento normativo che consenta alle A.S.D. di continuare ad usufruire di questa importante agevolazione (in sostanza manca ciò che disponeva l’art. 7 co. III L. 383/2000). Questo non è un problema da sottovalutare e necessiterà, sicuramente, di un pronto intervento da parte del Legislatore. Nello scenario attuale le A.s.d. che si trovano a svolgere le proprie attività in locali con destinazione urbanistica non idonea, potranno ricevere contestazioni amministrative dai vari sportelli comunali preposti.
Senza un chiarimento in materia le A.s.d. si troveranno costrette a scegliere se iscriversi al Registro CONI o al RUNTS (in quanto i due registri sembrano, ad oggi, alternativi), scelta che, in entrambi i casi, avrebbe ripercussioni considerevoli nella gestione dell’associazione. Per capirci meglio se una A.s.d. non vorrà perdere l’agevolazione inerente la destinazione urbanistica della propria sede sociale, dovrà iscriversi al RUNTS (è possibile, infatti, per una a.s.d. iscriversi a tale registro) ma, in tal caso, non potendo iscriversi al Registro CONI perderà importantissimi agevolazioni che caratterizzano, esclusivamente, il mondo sportivo dilettantistico tra le quali la possibilità di applicare i cosidetti “compensi sportivi” e quella di disciplinare le proprie entrate commerciali con le agevolazioni previste dalla L. 398/91.
La preoccupazione evidenziata in questo breve articolo dovrebbe essere mitigata dal principio giurisprudenziale poco innanzi richiamato, alla luce del quale, non dovrebbero insorgere problemi e contestazioni di sorta; tuttavia, considerata la burocrazia italiana e, soprattutto, i comportamenti dei tecnici comunali i quali spesso sono costretti ad essere dei meri esecutori materiali delle disposizioni di legge, si auspica che ci sia un intervento chiarificatore in materia senza dover attendere, necessariamente, delle nuove pronunce giurisprudenziali.